Ecco l’amore che non si accontenta di possedere la mente, il corpo e le attenzioni dell’essere amato, ma pretende d’impregnarne l’esistenza con la propria, in una fusione di carne, sangue e di pensieri. Un amore che supera la dimensione fisica per elevarsi all’assoluto intreccio di spiriti tra due creature che mettono da parte la vita reale per rifugiarsi e realizzarsi nel loro mondo intimo e segreto. Gustav Klimt (Vienna, 1862-Neubau, 1918) rappresenta, nell’opera “Il bacio”, questo scambio erotico e spirituale. La compenetrazione totale fra i due corpi testimonia l’unione di anime. L’andamento delle linee, curve o spigolose, esprime rispettivamente la morbidezza femminile e la virilità maschile. La coppia si struttura su uno schema piramidale ambientato su uno sfondo dorato (ricordo classico da cui l’autore ha preso spunto in una visita a Ravenna ai mosaici bizantini) che assume una prevalenza inedita e assoluta, funzionale ad accogliere e racchiudere il momento estatico dell’amore che riesce ad estraniare i soggetti dalla realtà; in contrasto con quest’ultimo, il prato fiorito ai piedi dei due amanti li lega simbolicamente alla terra, scoprendo, quindi, il tema della sintesi tra cielo e mondo, realtà e utopia.
Quello dell’autore è uno stile bidimensionale dove si fondono elementi naturali, geometrici e astratti. È curioso notare che Klimt abbia vestito i suoi personaggi con la tunica che era solito portare, come a render più evidente che il bacio rappresentato non è un bacio qualunque, ma un bacio che indossa le sue stesse vesti, un bacio personale, manifestazione dell’intimità dell’artista, che ha origine dalla quotidianità di una vita che si evolve lentamente, giorno dopo giorno, relazionandosi col mondo esterno. Una veste, dunque, intrisa di quotidianità, di vita e che testimonia il passare del tempo e degli eventi che insieme partecipano alla formazione del “sentimento” soggettivo del bacio.
La donna è completamente dedita e abbandonata all’uomo, mentre quest’ultimo è proteso in avanti in atteggiamento di forza protettiva e tenerezza nei confronti della persona amata. Particolari espressivi quali l'estrema definizione delle mani maschili, nodose e affusolate al contempo, a contrasto con il nitore della diafana pelle della giovane innamorata, attribuiscono all'uomo un’identità di approdo, di porto sicuro in cui potersi abbandonare, languidamente espresso dallo stato estatico della donna, finalmente libera di esprimersi nella sua fragilità femminile, con una mano morbidamente appoggiata sulla nuca maschile e l'altra in cerca di un tenero sostegno come in una carezza, rimettendosi a lui interamente. Rapiti in estasi, gli innamorati spiccano al centro della tela con tutta la forza espressiva del decorativismo simbolico ed allegorico di Klimt, in uno sfondo che sembra il riverbero del fulgore dell'oro dei corpi; neppure il prato fiorito, con la sua vivace policromia, riesce a catturare lo sguardo. Questo è pienamente assorto nella contemplazione del gesto stesso e del biancore della donna, la quale, appagata dall’amore di colui che ama, concede magnificamente i suoi sensi, sentimenti ed emozioni, in un abbraccio totale e incondizionato. L’equilibrio dell’unione è, allo stesso tempo, perfetto e precario, armonico e inquieto, specchio di un’epoca sospesa tra illusioni e certezze, dove l’amore sembra l’unico baluardo in cui rifugiarsi.
Gli amanti raffigurati sono lo stesso Klimt e la sua compagna Emilie Floge: isolati dal mondo in una fusione che è sensuale e spirituale, i due protagonisti del dipinto celebrano il trionfo del potere dell’eros, capace di sconfiggere i conflitti tra uomo e donna, persona e natura. La passione è la chiave di lettura di un quadro il cui fascino risiede nell'inafferrabilità e indefinibilità, in una perfetta, simbolica ed eterna unione, di quel vago che l'avvolge, di cui si percepisce l'essenza ma non la sostanza. Mondo onirico, dunque, dove cessano i contatti con l'esterno ed in cui il non-tempo scaturisce dalla fissità del gesto incastonato tra i preziosismi bizantineggianti, assolutezza stellare dello sfondo, astrattezza coloristica delle vesti, in un clima di totale estraniazione dal mondo, che ognuno di noi desidererebbe vivere con la persona amata.
Giusy Scaffidi Mangialardo